L’oro, come tutti sanno, è il bene rifugio per eccellenza.
Sia per il fatto di essere sostanzialmente immune dai discorsi legati a inflazione e svalutazione, sia per il suo porsi come paracadute in quei momenti in cui l’economia e i mercati finanziari appaiono particolarmente turbolenti.
Tutte le principali banche centrali dei diversi stati posseggono una riserva aurea che è la loro principale riserva monetaria: i punti di forza dell’oro sono, oltre al suo valore, il fatto di non richiedere un grosso ingombro, di non deperire con il passare del tempo e, soprattutto, di essere accettato in tutto il mondo.
Questo non significa, comunque, che anche l’oro sia sottoposto alle leggi del mercato e subisca nel corso del tempo variazioni piccole o grandi che siano.
In uno scenario sempre più globale, gli elementi che giocano un ruolo determinante nell’oscillazione e nella determinazione del prezzo dell’oro sono tanti e non riguardano solo il versante economico, ma anche quello sociale e politico.
Cerchiamo di vederli più nel dettaglio.
Innanzitutto bisogna sapere che il punto di riferimento per le quotazioni dell’oro è Londra: qui, due volte al giorno (alle 10,30 e alle 15) l’LBMA (ovvero la London Bullion Market Association) compie il London Gold Fixing, ovvero fissa il prezzo dell’oro che funge da riferimento a livello mondiale.
Questo avviene fin dal 1919, quando la famiglia Rothschild diede inizio all’operazione avvalendosi della collaborazione di 4 mercanti d’oro molto potenti: Pixley & Abel, Mocatta & Goldsmid, Samuel Montagu e Sharps & Wilkins.
Inizialmente l’incontro avveniva proprio in casa dei Rothschild e il prezzo stabilito veniva poi comunicato ai mercati.
Sostanzialmente, fatte le debite proporzioni e tenuto conto dei diversi scenari di un secolo dopo, la procedura avviene ancora oggi in maniera analoga.
Non c’è più la famiglia Rothschild, che nel 2004 è stata sostituita nel suo ruolo dalla Barckays Bank, e al posto dei mercanti d’oro ci sono i broker autorizzati che formano l’LBMA, che fanno capo a realtà come la Bank of Nova Scotia Mocatta, la Deutsche Bank, la Société Générale e l’HSBC Bank e, nel corso degli anni, si sono alternati con altri grandi esponenti della finanza internazionale.
Quello che non è cambiato è il fatto che il prezzo fissato a Londra funge da riferimento per le contrattazioni in tutti e cinque i Continenti.
Tecnicamente il fixing funziona come una contrattazione collettiva: il “Chairman” apre la seduta comunicando un prezzo dell’oro che sia in linea con quello dei mercati.
A quel punto tutti i membri dell’LBMA, sentiti i propri uffici di riferimento, dichiarano se sono interessati a vendere o comprare oro a quella cifra.
Le contrattazioni proseguono fino a quando domanda e offerta non trovano un punto d’incontro e, a quel punto, il prezzo viene fissato.
Ma in base a cosa i vari esponenti dichiarano la loro volontà di vendere o acquistare oro a un determinato prezzo?
Come ogni altra materia prima, anche per l’oro è determinante il gioco della domanda e dell’offerta.
Nel suo caso, gli attori principali che influiscono sulla domanda sono le banche centrali, l’industria (sia dei gioielli, sia della tecnologia) e tutto il settore di chi investe.
Globalmente, le banche centrali dei paesi emergenti hanno riserve auree molto basse rispetto alle banche del Vecchio Continente e degli Stati Uniti, questo fa sì che la domanda di oro sia in crescita.
Se Paesi come la Cina e l’India hanno una bassissima percentuale delle riserve auree mondiali, è chiaro che nel momento in cui aumentano la richiesta di oro per implementare le loro riserve, la quotazione dell’oro sono destinate a subire variazioni anche consistenti.
Nello stesso tempo, i debiti sovrani così pesanti di diversi paesi del Vecchio Continente in particolare, hanno portato a una svalutazione delle loro valute, con la conseguenza di una maggiore domanda di oro per rinforzare ulteriormente le riserve centrali con un bene alternativo non sottoposto a svalutazione.
L’industria, invece, che non sta attraversando un periodo particolarmente felice, ha diminuito la propria richiesta di oro, dato l’elevato valore raggiunto dal metallo sul mercato e le insicurezze economiche che non permettono investimenti sostanziosi.
Lo stesso discorso vale per l’industria odontoiatrica e della tecnologia, che ha un peso importante nello scambio di oro a livello mondiale.
Sul versante opposto rispetto a quello della domanda c’è, naturalmente, l’offerta.
Qui, negli ultimi anni, c’è stato un sostanziale incremento, capace di soddisfare le aumentate richieste del mercato.
Non va dimenticato, però, che gran parte delle miniere da cui viene estratto l’oro, si trovano in Paesi del mondo in cui la situazione politica e sociale non è sempre stabile: eventuali disordini e rallentamenti dell’estrazione portano, inevitabilmente, a una variazione dell’offerta di oro e, quindi, a un’oscillazione dei prezzi.
C’è poi da considerare che l’oro fa comunque parte di un sistema economico globale in cui interagiscono diversi fattori: il petrolio, per esempio, è un altro degli elementi fondamentali di questo scenario.
Oro e petrolio, però, sostanzialmente non s’influenzano a vicenda, ma rispecchiano l’uno l’andamento dell’altro: i due beni, infatti, risentono dell’influenza degli stessi fattori (instabilità politica e sociale, crollo dell’economia, guerre) e all’aumento del prezzo dell’uno spesso corrisponde l’aumento dell’altro.
Il dollaro, invece, ha un andamento inversamente proporzionale a quello dell’oro: se la valuta si rafforza, il prezzo dell’oro diminuisce, perché, semplicemente, serviranno meno dollari per comprare le stesse quantità di oro.
Al contrario, se la moneta si indebolisce, l’oro aumenta il suo valore.